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In Germania centrali a carbone che diventano batterie

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Grandissimi serbatoi riempiti con sali fusi per stoccare energia sotto forma di calore, in modo da garantire quella continuità delle forniture che è la principale incognita di un futuro mix elettrico alimentato in massima parte dalle fonti rinnovabili.

 

Con il vantaggio di riutilizzare macchinari e infrastrutture esistenti delle centrali a carbone/lignite: l’idea di trasformare ex impianti fossili in sistemi di accumulo termico di lunga durata è del centro aerospaziale tedesco (DLR), che tra le sue specializzazioni annovera diversi studi in campo energetico, con particolare attenzione alle soluzioni e tecnologie per ridurre la dipendenza dai carburanti tradizionali.

 

In una recente nota sulle principali attività programmate per il 2019, si parla del ruolo decisivo per lo stoccaggio di energia termica.

 

Il problema è noto: come far funzionare una rete elettrica rinunciando non solo al nucleare, ma anche alle risorse più inquinanti, come punta a fare la Germania nel 2038 al più tardi, quando avrà definitivamente azzerato la generazione di elettricità a carbone.

 

Le rinnovabili stanno già producendo livelli particolarmente elevati di TWh in Germania: nel 2018 hanno eguagliato il contributo complessivo di carbone e lignite, mentre nella prima metà di marzo, secondo i dati preliminari del Fraunhofer ISE, sono balzate al 63% del mix elettrico grazie soprattutto all’output dei parchi eolici a terra e offshore.

 

Ma per affidarsi stabilmente alle rinnovabili, la cui produzione varia molto durante l’anno, in base alle condizioni meteorologiche, bisognerà intervenire su due fronti: potenziare le reti di trasmissione-distribuzione e installare accumulatori per fronteggiare i periodi di scarsa ventosità e/o scarso irraggiamento solare.

 

Tra l’altro, l’uscita dal carbone pone altre incognite, ad esempio come sorreggere l’economia delle regioni minerarie e come reimpiegare migliaia di lavoratori.

 

Ecco perché il DLR sta lavorando a un progetto pilota di taglia industriale per convertire ex unità a carbone in centrali di accumulo termico; in tre anni, come riporta un’analisi di GTM Research sull’argomento, un simile impianto potrebbe essere operativo.

 

In sintesi, il sistema di accumulo è una batteria di Carnot, che consente di sfruttare il surplus elettrico delle fonti rinnovabili; in pratica, converte l’elettricità in calore a elevata temperatura (500 gradi centigradi) tramite una pompa di calore, stoccando l’energia termica in serbatoi coibentati, pieni di sali fusi.

 

Quando c’è bisogno di energia elettrica, il sistema converte il calore in elettricità con un processo di generazione termica; va detto, citando l’analisi di GTM Research, che l’efficienza complessiva è intorno al 40% (si pensa però di raggiungere il 60% impiegando pompe di calore con un rendimento maggiore), quindi il “gioco” si regge solo grazie alla possibilità di riutilizzare impianti esistenti e grazie alla disponibilità di energia eccedente che altrimenti andrebbe persa/sprecata.

 

In teoria, convertendo diversi impianti a carbone in batterie di questo tipo, la rete elettrica potrebbe contare su decine di GWh di capacità di accumulo; una soluzione che potrebbe quindi affiancare lo storage di più breve durata con le installazioni di batterie al litio. 

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