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La sfida dell’efficienza energetica in Italia e gli strumenti per affrontarla

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Bisogna definire politiche sull’efficienza energetica fondate su un’ottica di lungo periodo, collegando energia e core business, per affrontare temi onerosi e complessi, come la riqualificazione spinta del patrimonio edilizio, la trasformazione del settore energetico e la rivoluzione del settore trasporti.

 

Su queste idee FIRE ha pubblicato un documento dal titolo, “Proposte per lo sviluppo dell’efficienza energetica in Italia”, una sorta di Manifesto della Federazione per l’efficienza energetica.

 

FIRE inizia spiegando perché è errato identificare l’efficienza energetica solo con la possibilità di risparmiare in bolletta, riducendo i consumi di energia.

 

Secondo l’organizzazione, per quanto interessante, questo elemento da solo non giustifica una particolare attenzione al tema: su circa 300mila imprese manifatturiere, quelle energivore, ossia caratterizzate da una spesa energetica superiore al 2% del fatturato, sono circa tremila. Per il restante 98% delle imprese conseguire risparmi energetici risulta sicuramente utile, ma difficilmente può rappresentare una priorità rispetto ad altre voci di costo.

 

L’efficienza può far cogliere invece importanti opportunità alle imprese e alle famiglie. Il risparmio energetico è solo uno dei benefici dell’efficienza e, in genere, non è il più importante. Ogni kilowattora risparmiato porta infatti con sé una serie di bonus, quali la riduzione dei costi di manutenzione e gestione, la diminuzione delle emissioni climalteranti e/o nocive, il miglioramento delle condizioni di lavoro, la riduzione dei rischi connessi alle forniture, il miglioramento della qualità dei prodotti, eccetera.

 

Si tratta di benefici che hanno sia un impatto a livello macro, come nel caso degli aspetti sulla salute, sia uno diretto sull’impresa che effettua l’intervento (riduzione rischi, miglioramento struttura costi, aumento della produttività, ecc.).

 

Un semplice esempio per chiarire il concetto è la sostituzione delle lampade a scarica per illuminazione pubblica con lampade a led: si ottengono ovviamente un risparmio energetico e minori emissioni climalteranti, ma anche una migliore qualità (sia in termini di tonalità di colore, sia come direzionalità del flusso luminoso), una riduzione dei costi di manutenzione (durata delle lampade), una maggiore sicurezza (vi sono più led, che difficilmente si rompono in contemporanea, in luogo di una sola lampada), minori problemi di smaltimento a fine vita.

 

Per questo motivo non ha molto senso ridurre un intervento del genere al mero risparmio energetico, anche perché gli altri aspetti appaiono molto più interessanti sia al decisore (che in genere ha molto più a cuore manutenzione e sicurezza), sia all’utilizzatore (conta l’illuminazione, non il consumo di energia).

 

Allora quali sono, secondo FIRE, gli strumenti principali per affrontare le sfide del mercato dell’energia?

 

Prima di tutto bisognerà definire delle politiche lungimiranti, si spiega.

 

In tema di edifici, l’idea è di andare verso immobili a consumi quasi nulli (i cosiddetti NZEB). Questo significa che non sarà sufficiente agire sugli impianti di riscaldamento, raffrescamento e illuminazione, e nemmeno limitarsi a aggiungere isolante all’involucro, ma occorrerà ripensare insieme l’involucro (forma, materiali, produzione di energia rinnovabile), gli impianti (produzione, distribuzione e utilizzo), gli spazi (aree comuni e aree private, dimensioni), e il loro impiego (abitazione, ufficio, spazi verdi e/o produzione agricola, ecc.).

 

Si tratta di una sfida soprattutto sull’esistente, spesso gravato da vincoli architettonici e paesaggistici e su cui appare difficile intervenire in modo radicale ad edificio occupato. I costi saranno considerevoli e i tempi di rimborso dei capitali lunghi. Ne consegue che solo attraverso un’opportuna diffusione di competenze progettuali adatte alle nostre caratteristiche climatiche e sociali e un’adeguata industrializzazione del settore delle costruzioni si potranno raggiungere tempistiche, qualità e costi accettabili.

 

Il settore energetico dovrà poi affrontare la riduzione delle fonti fossili e la crescita di quelle rinnovabili. Le soluzioni tecnologiche appaiono forse più chiare rispetto agli edifici, ma la sfida di mercato, regolatoria e culturale è davvero notevole, secondo FIRE: le risorse da spendere saranno cospicue, e molto dipenderà dalla capacità di intuire la giusta velocità del processo.

 

Sul settore dei trasporti, l’associazione considera l’attuale dibattito troppo ricondotto solo all’auto elettrica, mentre è in gioco molto di più.

 

Occorre rivedere le politiche di mobilità urbana, la logistica delle merci, le logiche di possesso di veicoli privati, le modalità del lavoro. Investimenti consistenti, accompagnati da un cambio culturale non facile da digerire nell’immediato rendono la sfida altrettanto difficile.

 

In tutto questo l’industria continuerà a svolgere un ruolo primario per la riduzione dei consumi, non tanto con interventi sui componenti energetici, quanto con un ripensamento dei prodotti e dei servizi offerti (sempre più “green”), un’integrazione e razionalizzazione delle filiere in ottica circolare, e una maggiore penetrazione della generazione distribuita.

 

Il vantaggio, rispetto agli altri settori, è che sarà la competitività a spingere questo cambiamento, non solo obblighi e attenzione all’ambiente e alle risorse.

 

Nel documento, FIRE individua più nel dettaglio alcuni strumenti e strategie per lo sviluppo del mercato:

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