Sharing economy: la rivoluzione del 'gratis'
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“Un gratis seppellirà il capitalismo” ha detto Jeremy Rifkin, economista di fama internazionale, sul New York Times. Riferendosi al fenomeno dello sharing economy, o economia della condivisione. Pensiamoci: quanti prodotti buttiamo o dimentichiamo prima che siano rotti o inutilizzabili? "La sostenibilità è una componente della qualità”, spiegava qualche tempo fa Virginia Antonini, CSR manager di Lavazza. Il segreto è proprio questo.
Negli ultimi anni ha prevalso la tendenza al consumismo sfrenato, che però la crisi ha in parte ostacolato. Nel frattempo, il vintage e i negozi dell’usato hanno ripreso campo e anche il riciclo diventa non solo una soluzione ma una moda. La sharing economy permette, insomma, al consumatore di risparmiare, non svaluta i prodotti e, per giunta, consente alle aziende di guadagnare in termini di immagine. Dal punto di vista ambientale, il risparmio è anche legato alla riduzione dei rifiuti. I consumatori vengono poi fidelizzati e si affezionano al brand perché si sentono parte di una community, un’esperienza che nel mercato tradizionale non sarebbe possibile.
La Sharing economy sta, dunque, alla base della rivoluzione grazie alla quale ora si può viaggiare, finanziare un progetto, fare impresa, studiare, persino mangiare a costo e impatto zero, oppure risparmiando. Qualche esempio? Google, Wikipedia, Youtube, Skype, strumenti che ci permettono di utilizzare sistemi operativi, di ricercare informazioni e poter comunicare gratuitamente senza confini.
Ma la sharing economy oltrepassa la condivisione virtuale e si allarga a qualsiasi tipo di oggetto o competenza. Dalla condivisone degli spazi abitativi inutilizzati, mettendo a disposizione un alloggio ai turisti con il Couchsurfing, alla condivisione dei propri veicoli grazie al Car sharing, che connette viaggiatori con le stesso itinerario, riducendo così traffico, consumi ed emissioni. Sempre più popolare è anche il Crowdfunding, il quale, attraverso la condivisione su rete di un progetto, aiuta il suo finanziamento e la sua diffusione, promuovendone la realizzazione, mentre Crowd Companies, riunisce aziende che vogliono investire nella sharing economy realizzando così marchi e prodotti.
Iniziative di Co-working e Co leaving sono altri esempi di fantastiche opportunità a disposizione. Si tratta di progetti di condivisione di spazi, idee, lavori, di impareggiabile valore culturale e sociale.
Condividere significa innanzitutto produrre meno sprechi: i consumatori risparmiano e le aziende guadagnano. Per esempio, un individuo comune utilizza un trapano per una media di 4 minuti in tutta la sua vita. Chiederlo in prestito utilizzando la Biblioteca delle cose o Collaboriamo sembra dunque molto più sensato che comprarlo. Per i prodotti alimentari in scadenza ancora commestibili ma non più vendibili, è nato invece il Foodsharing.
La sharing economy allargata alle necessità di un quartiere ha dato invece vita alle Social Street, intrecciando le vite dei residenti nella condivisione di beni, esperienze e competenze con il proprio vicinato.
Tutte queste azioni non solo offrono un servizio ma sono volte a recupero del senso di comunità in tutte le sue accezioni. Una comunità non solo da un punto di vista locale e globale, ma soprattutto più umano e sociale, una comunità che risponde ai propri bisogni e non a quelli del mercato.
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