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L’acqua italiana "promossa" per qualità, ma restano sprechi e rischio geochimico.

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In occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua 2015 che si è tentuta il 22 marzo, l’ENEA traccia un bilancio in chiaroscuro sull’acqua che arriva nelle case degli italiani.
La buona notizia è che si tratta di una risorsa in prevalenza di ottima qualità perché proveniente per lo più da fonti sotterranee. La notizia meno buona è che restano criticità legate alle condizioni delle reti di distribuzione e al rischio geochimico

L’Italia vanta una situazione di assoluto privilegio rispetto a molti altri paesi per quel che riguarda la qualità dell’acqua che arriva dal rubinetto: infatti, circa il 70% dell’acqua potabile distribuita in rete proviene direttamente da sorgenti o falde sotterranee e solo il restante 30% è sottoposto a processi di depurazione.
Nonostante questo dato positivo e i progressi fatti nel rispettare i limiti europei per salute e ambiente, restano da sciogliere nodi come il gran numero di gestori, l’elevata dispersione della risorsa nelle reti di distribuzione e il rischio geochimico legato alla presenza di concentrazioni naturalmente elevate di elementi potenzialmente nocivi, quali arsenico e fluoro, in alcune zone d’Italia. Altri elementi richiederanno attenzione nel prossimo futuro.

A tracciare un bilancio in chiaroscuro sullo stato di salute dell’acqua potabile nel nostro Paese in occasione della Giornata Mondiale dell’acqua è l’ENEA che, nel corso di un Convegno ai Lincei, ha presentato i risultati più recenti della ricerca in questo settore. "Le rilevazioni e i monitoraggi a nostra disposizione, compresi quelli effettuati nello Studio delle Università di Bologna, Napoli, Cagliari e Sannio su 157 siti in quasi tutte le province italiane, confermano che sono rarissimi i casi di superamento dei limiti della concentrazione di elementi imposti dalle direttive europee. Altrettanto si può dire delle moltissime acque minerali in bottiglia, anche questa una ricchezza peculiare del nostro Paese", ha spiegato l’esperto ENEA Carlo Cremisini, responsabile dell’Unità Tecnica “Caratterizzazione, Prevenzione e Risanamento Ambientale”.

Anche l’Italia presenta comunque alcune criticità legate al cosiddetto rischio geochimico – ha sottolineato Cremisini - vale a dire il rischio per la salute dell’uomo connesso a concentrazioni naturalmente elevate di elementi potenzialmente tossici nell’acqua destinata ad uso potabile”. “In alcune aree nel Lazio, ad esempio, abbiamo riscontrato una concentrazione di arsenico e fluoro superiore ai limiti ammessi per l’acqua potabile nel 75% dei campioni – ha affermato Cremisini - Questa situazione meriterebbe un approfondimento, anche per studiare le possibili sinergie degli effetti tossici dei due elementi”.

Il riferimento è l’entrata in vigore, nel 2001, della direttiva UE che abbassava il limite per l’arsenico nelle acque potabili da 50 a 10 microgrammi per litro, facendo sì che in alcune aree d’Italia l’acqua di falda non avesse più i requisiti di potabilità. In quella occasione si è dovuto correre ai ripari in emergenza e a tutt’oggi si registrano difficoltà nella soluzione definitiva del problema. L’ENEA ha eseguito negli ultimi anni numerose campagne di misurazione di arsenico in sorgenti, acque sotterranee e superficiali nel Lazio, concentrando l’attenzione in aree delle province di Viterbo e Latina e nei Castelli Romani. Nel viterbese i laboratori ENEA hanno analizzato le concentrazioni anche di altri elementi, quali il fluoro e l’uranio.

Per quanto riguarda la concentrazione di uranio nell’acqua potabile, non esiste ancora un valore limite fissato dalla direttiva europea. Studi effettuati nell’ultimo decennio dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) e dall’Agenzia statunitense per la protezione dell’ambiente (EPA) hanno comunque suggerito livelli di sicurezza per la salute umana compresi fra i 10 ed i 30 microgrammi per litro.

Dal monitoraggio effettuato dall’ENEA in 32 comuni del viterbese, la concentrazione dell’uranio è risultata essere al di sotto dei 10 microgrammi per litro in 28 campioni e nei restanti 4 i valori erano compresi tra 10 e 15 microgrammi per litro. “I valori di uranio - ha sottolineato Cremisini - sono nella maggior parte dei casi ben al di sotto dei 10 microgrammi per litro anche nelle misurazioni effettuate nel resto d’Italia e riportate nello studio delle Università sopraccitate. È comunque opportuno continuare a raccogliere dati anche nell’ottica dell’introduzione possibile, seppur non probabile, di un limite specifico nella direttiva europea e per ulteriori valutazioni del rischio a garanzia della tutela della salute pubblica. È bene quindi non farsi trovare ‘impreparati’ come è avvenuto per l’arsenico”.

Resta il fatto che, complessivamente, la qualità dell’acqua ‘nazionale’ è eccellente. Tuttavia, altrettanto non si può affermare del suo sistema di gestione, che non riesce a contenere, tra l’altro, i cronici problemi di dispersione della risorsa idrica. “La rete di distribuzione in Italia – conclude Cremisini – è estremamente frammentata con oltre 3 mila enti gestori di servizi idrici, dei quali circa l’80% sono gestori in economia, e sistemi con bacini d’utenza inferiori in molti casi ai 5 mila abitanti. Oggi questa situazione merita una riflessione sull’opportunità di un’adeguata ristrutturazione che renda più agevoli gli interventi strutturali d’emergenza”. 

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